Il Gomitolo


Fiabe e racconti

Quando non te l'aspetti

Racconto scritto da don Nereo

Un distinto signore si era inerpicato su un cucuzzolo della montagna, sopra a Valternigo in val di Cembra, una mattina estiva. Era fuggito dalla baraonda della città e dei suoi interminabili impegni commerciali.

Arrivò sul colle, ansante e si stupì di vedere una bianca chiesetta incorniciata dai pini.

Per trovare un momento di calma, aveva infilato l'auto in quelle stradine fino a doversi arrestare tra il crocchio di case. Aveva imboccato l'unico sentiero che aveva visto ed era finito in quella piccola radura sconnessa dove sorgeva la chiesetta.

Respirò ad ampie boccate l'aria che sapeva di resina e di solitudine. Curiosamente, si accostò alla scura, bassa e massiccia porta della chiesa. Spinse. Trovò aperto ed entrò. Nella fresca e un po' umida ombra, vide qualche banco scuro, un altare modesto, due candelieri sopra la tovaglia orlata con pizzo. Sedette e pensò all'affanno dei lavori lasciati a valle per qualche ora; sentì sedersi accanto, quasi fisicamente, la pace e pensò che Dio non dovesse essere tanto diverso. Quante corse nella sua vita, quanti impegni, quante preoccupazioni per affari, soldi, questioni e persone.

Lo distrasse un fitto cinguettio sul davanzale di una finestra. Un passerotto pigolava frenetico, battendo le ali ancora troppo deboli e spoglie per volare. Tendeva il collo e la testolina. Ed ecco la madre... e lo imbeccava. Ora il piccolo taceva, mentre la madre volava via per trovare altro cibo...

Quel signore aveva seguito la scena. Pensava a ciò che l'aveva nutrito finora nella vita troppo piena di cose e preoccupata. Ora, qui, sentiva il bisogno di un cibo troppo raro: calma, pace, pensiero della vita e dell'eterno, Dio piuttosto accantonato... Senza vergogna, si accorse di piangere, ciò che non gli capitava da una vita. Sentì che la pace sedutagli accanto prendeva corpo e gli diceva: «Figlio». Ora, in quella quiete, si sentiva imbeccato come l'uccellino accoccolato e sazio sul davanzale.

Rimase a lungo in quella solitudine così popolata di voci appena sussurranti o silenziose: un altare che si riempiva di desideri sepolti in fondo all'anima, due candele spente che avrebbe voluto incendiare più del sole, banchi vuoti che si affollavano di figure di familiari, colleghi e sconosciuti sorridenti; l'ombra intensa dei pini oltre le finestre e la leggera brezza che sbirciava dalla porta socchiusa. E la sua fame di qualcosa di ignoto veniva saziata lentamente da un pensiero: la vita è un gran dono; un unico contenitore da riempire. Di che cosa? Di cose buone, molte di esse diverse da quelle che finora erano state la sua occupazione.

Il signore lentamente si alzò, lasciò sull'altare povero e spoglio una lunga preghiera; uscì quasi di malavoglia. Dopo un'ultima occhiata alla chiesetta bianca, quasi un saluto al suo segreto ospite di quei ricchi minuti, imboccò il sentiero, scendendo con passo leggero, come ringiovanito.

Forse la sua vita domani sarebbe stata un po' diversa.

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